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Il diagramma musicale
Il progetto della House of Hungarian Music nasce dalla scelta di relazionare l'esperienza della nuova architettura con quella della musica ungherese: trasporre la più eterea delle arti in una forma concreta e costruita. La scelta delle “Romanian folk dances” di Béla Bartók (in particolare della n. 3) nasce dal ruolo che queste composizioni e il loro compositore ricoprono nella storia della musica ungherese. Tutto il lavoro di Bartók è stato basato sullo studio scientifico della musica popolare, contaminazione che coltivava di pari passo con l'influenza delle contemporanee innovazioni ritmiche ed armoniche. Nelle “Romanian folk dances” Bartók veste i panni di traghettatore della musica tradizionale nel XX secolo (la composizione è del 1915). Dunque la scelta di Bartók non è l'espressione di un giudizio che vuole porlo al di sopra degli altri compositori ungheresi (tra i quali basta ricordare Listz o Ligeti), ma è una scelta dovuta a questa sua capacità di mettere insieme tradizione ed innovazione, cultura popolare ed alta ricerca musicale. Con questi auspici il nuovo museo vuole essere un contenitore capace di accogliere, interessare e contaminare la gente ed ogni sfaccettatura del fenomeno musicale, sia storico che contemporaneo.
Dalla partitura all'architettura: la rampa
La partitura di Bartók è stata digitalizzata lavorando su durata, altezza e ritmo delle singole note. Il nuovo diagramma digitale delimita un area entro la quale si estendono le singole parti della composizione: questo flusso (con un inizio ed una fine chiara) a seguito di una operazione di deformazione attorno ad un centro genera la geometria alla base della rampa. La scelta di costruire il museo attorno ad una rampa discende direttamente dalle esperienze dell'architettura del movimento moderno e del XX secolo in generale (si veda il Guggenheim di Wright, le promenade di Le Corbusier, o le recenti architetture di OMA); ma è anche il risultato dell'esperienza dello spazio veicolata dalla visione dinamica tipica della nostra contemporaneità. L'uso della rampa è la materializzazione della volontà di accompagnare il visitatore lungo il percorso cognitivo all'interno del museo, lasciando che la composizione di Bartók, con i suoi ritmi ed armonie, ne scandisca l'attraversamento. L'edificio si presenta, dunque, come una rampa che attraversa, connette ed ordina un unico piano che piegandosi genera le sale del museo. Gli ulteriori elementi introdotti sono: le pareti esterne trasparenti (ma oscurabili) che fanno si che il parco sia sempre ben presente all'interno dell'esperienza di questa particolare architettura; i volumi che accolgono le funzioni che necessitano di esser isolate il cui rivestimento in legno ricorda la superficie di uno strumento musicale.
Il museo
Il museo si integra nel parco insediandosi nel lotto scelto per il concorso e rivolgendo il suo ingresso principale verso il 1956 Memorial . La sua presenza all'interno del parco è denunciata dalla copertura che aggetta e piega proprio in corrispondenza del nuovo viale che collegherà il 1956 Memorial con il New National Gallery. Il piano alla quota del parco è concepito come una piazza coperta sulla quale si affacciano le masse dure dei servizi. Il visitatore, invitato ad entrare dalle giaciture in pianta ed incuriosito dalla compressione spaziale degli ingressi è subito attratto dalla rampa: ben visibile dall'esterno questa convoglia la luce zenitale all'interno del museo. Questo spazio è concepito in modo da essere fruito anche come event hall: l'evento che si svolge al centro, oltre a poter essere osservato da tutta la hall, ha i suoi più interessanti punti d'osservazione lungo la rampa stessa che avvolgendosi genera uno spazio che ricalca il Globe theatre di Shakespare o il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, perseguendo alcontempo quella scelta che a metà del secolo scorso lo stesso Hans Scharoun aveva fatto per la filarmonica di Berlino dove nessun posto era privilegiato rispetto ad un altro. La rampa attraversa tutto il museo fino a giungere di nuovo alla hall d'ingresso: lungo il percorso in salita intercetta i singoli piani permettendovi l'accesso, mentre lungo la sua discesa riporta al piano inferiore senza alcuna interruzione. Il primo ed il secondo piano sono destinati alle mostre. In particolare il primo è destinato all'esposizione permanente mentre il secondo a quella temporanea. La struttura portata ai margini lungo le pieghe del piano del solaio, lascia lo spazio libero, attraversato solo da elementi strutturali discreti e dal sistema delle risalite (anch'esso con funzione strutturale). L'idea di museo è quella di uno spazio completamente riconfigurabile, illuminato da luce naturale o da un sistema continuo di led lungo tutta la superficie del tetto. L'ultimo piano è il luogo dove contemplare la città dalla “UNESCO terrace”, un cubo di vetro sospeso sopra gli alberi; dove dedicarsi al rito dell'ascolto nella sound dome che, con l'oculo al centro della cupola, ricalca lo spazio mistico del Pantheon; dove assistere alle conferenze sospesi a 18 metri d'altezza. Ma al contempo è il luogo degli uffici e delle sale riunioni, un luogo dove contribuire alla gestione, crescita e programmazione del nuovo museo in piena tranquillità. Il piano interrato si suddivide in due parti ben distinte. Sotto l'accesso principale, insediati con un sistema a corte, si trovano gli spazi per l'apprendimento: qui, isolati dal via vai dei visitatori, ma al contempo nel cuore del nuovo museo i discenti si trovano coinvolti nelle attività didattiche che li avvicineranno alla comprensione dell'arte della musica. L'altra parte del piano interrato, ben collegata con gli altri piani vi è la zona destinata alle opere d'arte, con un percorso privo di ostacoli e che con facilità le porterà in qualsiasi parte del museo.